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1 marzo 2020
rosella lisoni

Eventi, sabato 7 marzo dalle 9 alle 18.00 giornata con Pasolini, tra  Bomarzo e Chia

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In ricordo di un grande intellettuale del ‘900 che amava la nostra terra tanto da spingersi ad acquistare a Chia, in provincia di Viterbo, la famosa Torre, simbolo del suo isolamento e immagine riflessa del poeta vate, chiuso nella sua torre d’avorio, isolato dal mondo, che osserva, analizza e ci restituisce la descrizione  precisa di una società  pervasa da dubbi, incertezze, piegata all’omologazione  al consumismo.

“Osservo me stesso massacrato col sereno coraggio d’uno scienziato. Sembro provare odio, e invece scrivo dei versi pieni di puntuale amore.” scrive Pasolini a proposito del suo operare.

Poeta, scrittore, letterato, giornalista,cineasta, critico cinematografico,amante dell’arte della musica, uomo d’infinita cultura e di grande sensibilità.

Sofferente, lacerato dal dolore e ” costretto” come lui stesso afferma” a subire la sua diversità.

Sarà la poesia ad esprimere all’inizio dell’ attività la poetica paoliniana,  l’ideologia i valori, l’impegno e visione del mondo dell’autore.

La poesia, capace di parlare della realtà,  di riflettere le contraddizioni del presente storico, ha in sè  la tematica dell’ impegno.

Pensiamo a “Poesie a “Casarsa” dove la visione mitica di personaggi luoghi ed eventi tengono la storia tutta fuori dall’orizzonte poetico pasoliniano.

I motivi centrali del primo Pasolini poeta sono il dissidio consapevolmente vissuto tra istinto e ragione; il tema della vita così tragicamente intrecciato a quello della morte e il legame materno, fisico, biologico con la propria terra; legame che giustifica l’idea di comporre in dialetto friulano, idioma tramite cui è possibile immergersi completamente nel cuore delle cose.

Solo la successiva scoperta di Marx consentirà a Pasolini una più attenta considerazione delle determinazioni storiche, non solo biologiche, in cui si trova preso l’individuo.

Pensiamo a Le ceneri di Gramsci (1957), felice innesto dell’ideologia marxista sul troncone delle predisposizioni giovanili pasoliniane, soprattutto su quel cristianesimo da Pasolini inteso come mito primigenio; ideologia quella marxista, vissuta meno come opzione di “classe” e più, invece, come sentimento.

È il momento, questo, in cui il poeta sente che allo spietato avanzare della civiltà del capitale non è più realisticamente possibile contrapporre i miti.

Accanto alla scoperta di Marx si delinea, così, l’altra grande scoperta pasoliniana: quella di Roma, città antica e moderna, borghese e sottoproletaria che arriva progressivamente a sostituirsi, nella produzione pasoliniana, al mitico Friuli.

A Roma avviene la scoperta felice del sottoproletariato, popolo reietto che gravita ai margini della metropoli, nelle squallide baracche di borgata, che diventa momento di scoperta ulteriore dell’io pasoliniano.

Sarà proprio il sottoproletariato romano ad essere il protagonista della prima produzione narrativa.

In Ragazzi di vita (1954) e Una vita violenta (1959) il mondo delle borgate romani balza prepotentemente in primo piano con i suoi laceri personaggi, privi di coscienza della propria condizione, mossi da bisogni primari (la fame, il sesso, la sopravvivenza).

L’universo in cui si stagliano queste figure umane è mitico, poiché Pasolini evita consapevolmente ogni pur “prudente recupero della dimensione storica” , calando eventi e personaggi in un mondo sospeso in un’eterna, immodificabile astoricità.

Nella “vastissima e brulicante materi documentaria” che emerge dalle due grandi opere narrative pasoliniane, ritroviamo ancora una volta certi temi cari al poeta: dal mito della fanciullezza innocente, all’idea di una morte quale realtà immanente, a un universo dove l’esistenza è precaria e la felicità un’illusione eterna. (“Poveri Stracci – dirà il personaggio del regista de La ricotta – crepare doveva; era il suo modo di dire che anche lui).

Il confronto con la morte, intesa come assunto ossessivo, sarà il dato costante del percorso pasoliniano e l’espressione del suo sentire profondo..

Tommaso Puzzilli muore in Una vita violenta, così come di lì a poco moriranno Accattone del film omonimo, Ettore di Mamma Roma. Stracci de La ricotta e Gesù Cristo de Il Vangelo secondo Matteo: prime prove di regia di un Pasolini che porta, nel suo iniziale accostarsi al cinema, gli stessi motivi poetici di quei due romanzi, scoprendo nel medium cinematografico la possibilità di saltare quella mediazione della parola scritta che impedisce fino a un certo punto di aderire a quella realtà verso cui Pasolini ha già da tempo dimostrato un amore viscerale.

La differenza letteratura / cinema – sottolineerà pure il Pasolini teorico del film – sta nel maggior grado di realtà che quest’ultimo rispetto a quella  riesce ad assicurare.

La passione che porta, nel suo iniziale accostarsi al cinema, gli stessi motivi poetici di quei due romanzi, scoprendo nel medium cinematografico la possibilità di saltare quella mediazione della parola scritta che impedisce fino a un certo punto di aderire a quella realtà verso cui Pasolini ha già da tempo dimostrato un amore viscerale.

La realtà va sempre più connotandosi per Pasolini come un universo orrendo al quale non sembra più possibile contrapporgli un progetto polito alternativo.

È questo il senso della circolarità di un film come Edipo re, con un Pasolini che dichiara che la “la vita finisce dove comincia”; film in cui le alternative di un tempo (Marx, Gramsci) sembrano accantonate per lasciare il posto a Freud quale guida per la scoperta dell’inconscio .

“La verità non sta in un sogno, ma in molti sogni”, si leggera’ nell’epigrafe del film “il Fiore delle mille e una notte, terzo film de “La trilogia della vita”, prima di approdare all’universo orrendo di Salo’.

Il mondo onirico tanto decantato, la realtà  del sogno, ci riconducono alla Torre di Chia  da Pasolini tanto amata, quasi simbolo di un passato lontano, fantastico, fatato.

Luogo di pace, incontaminato, puro, lontano dalla sua Roma corrotta e spietata, in cui lui viveva e in cui troverà la morte.

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