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29 ottobre 2021
rosella lisoni

Nella notte tra i 1° e il 2 novembre 1975 nei pressi dell’idroscalo di Ostia veniva tragicamente ucciso Pier Paolo Pasolini, il poeta de “Le Ceneri di Gramsci”, lo scrittore di “Ragazzi di vita”, lo sceneggiatore de “Le Notti di Cabiria”, il regista de “Il Vangelo secondo Matteo”, il drammaturgo di “Calderon “, il giornalista de” Gli Scritti Corsari”.

Il ricordo di Pier Paolo Pasolini, l’ultimo poeta decadente della letteratura italiana, il poeta maledetto italiano, l’esistenzialista, lo scrittore animato da uno spirito ottocentesco che considerava la letteratura come strumento per cambiare e guarire il mondo, è ancora vivo ed è la sua assenza che rimanda alla sua presenza.

Manca alla nostra società una figura di intellettuale graffiante, sincero, coraggioso, leale come lui, un uomo che ha fatto della sua debolezza, dei suoi limiti il suo punto di forza, un uomo che ha pagato di persona la sua sete di verità. 

Manca un uomo animato dal suo modo di interpretare la società italiana, sempre pronto a scandalizzare con la sua logica.

Scandalizzò la sinistra ancorata agli schemi del neo realismo con il suo libro “Ragazzi di vita”, il clero conservatore con il film “il Vangelo secondo Matteo”, gli italiani innamorati della società dei consumi asserendo che “il consumismo era un nuovo totalitarismo”, scandalizzò il potere evidenziando i suoi giochi di “Palazzo” e scandalizzò perfino i giovani del 68 che scendevano in piazza a manifestare schierandosi dalla parte dei poliziotti figli del popolo e contro i sessantottini perché figli di borghesi e animata dalla loro stessa presunzione.

Pasolini un’anima divisa in due, un ossimoro vivente, un uomo attraversato da innumerevoli contraddizioni ma incredibilmente vero e animato da una curiosità e da un coraggio fuori dal comune.

Un uomo profondamente amante della vita che non sdegnava di sfidare la morte recandosi ogni sera nei luoghi più degradati, un divo, un’icona che subì 33 processi e dovette presentarsi nelle aule di tribunale infinite volte, un uomo sensibile, timido ma anche profondamente duro nei confronti delle leggi del “Palazzo”, un marxista, ma anche uomo animato da un profondo senso del sacro, da una visione religiosa della vita, il regista che ha diretto il più bel film sulla vita di Gesù: “Il Vangelo secondo Matteo”, il grande sperimentatore della lingua italiana ma ostile nei confronti delle avanguardie, un “novello Dante” che da poeta sperimenta un nuovo linguaggio al pari di Dante col dolce stil novo, colui che nella “Divina Mimesis” dirà “Fare poesia è ancora possibile, il grande poeta sfugge alle determinazioni economiche, è insieme ricco e povero. Come tutti è un consumatore che produce un bene che non si può consumare perché non ha funzioni nell’universo capitalistico”. 

Il poeta de “Le Ceneri di Gramsci”, costretto quasi ad un esilio volontario nel 1949 poiché accusato di atti osceni e corruzione su minore è costretto a lasciare la sua amata Casarsa per approdare a Roma con la sua adorata madre, fu fortemente influenzato da Dante, non soltanto perché in grado di rispecchiarsi in lui, nella sua condizione di “esule”, ma anche e soprattutto per l’uso del plurilinguismo dantesco, per la capacità di Dante di utilizzare ogni registro linguistico, accanto al volgare illustre, rappresentando, con il suo realismo linguistico, ogni strato della società, dal popolo ai letterati.

Pasolini, l’intellettuale e l’uomo di borgata che nei primi anni 50 vive in una borgata vicino a Rebibbia conosce l’indigenza ma entra in contatto con  il popolo dei “borgatari” e  impara la loro lingua, diventa uno di loro, apprende da loro un sarcasmo che non gli appartiene ma lo diverte, si immedesima con loro  al punto di scrivere un romanzo “Ragazzi di vita” in cui egli stesso si cala nelle loro realtà fatte dalla soddisfazioni di bisogni primari : la fame, il sesso e usa un linguaggio “romanesco” perfettamente aderente a quello dei borgatari; lasciandosi alle spalle sia il romanzo borghese, con attente descrizioni di stati degli stati d’animo dei personaggi , quello neo realista animato da lotte di classe, predominio dal più forte sul più debole, presenza assidua “madri coraggio”.

Diventa amico di Ninetto Davoli, Sergio Citti, personaggi che esercitano la loro intelligenza trascorrendo le giornate nei bar di borgata, che saranno suoi amici al pari di Moravia, la Morante, Dacia Maraini, Bertolucci, Gadda, i più grandi intellettuali del novecento.

Pasolini amava l’Italia, i suoi dialetti, le sue lingue, la campagna, il mondo contadino con la sua purezza di valori, la sua innocenza, in cui i migliori erano quelli che “avevano fatto la quarta elementare” perché puri.

 Pasolini sostenne che la televisione stava distruggendo l’Italia e le sue lingue, omologando tutti e trasformando gli italiani in perfetti consumatori asserviti alla logica del guadagno. 

Animato da una profonda intenzione didattica, si rivolgeva agli italiani con lo stesso rigore che dovrebbe avere un’insegnante nei confronti degli adolescenti. 

Lui stesso esordì come insegnante perché amava insegnare e quando venne cacciato dall’amata Casarsa, luogo sacro, origine della sua arte, luogo della sua adolescenza, quasi un Eden, un paradiso terrestre e dovette rinunciare all’insegnamento questo fu per lui un dolore immenso. 

Ascoltare la voce di Pasolini era ascoltare la voce di un insegnante, ma forse era ciò di cui avevamo bisogno.

Pasolini fece politica da letterato, credendo nella forza del logos, del discorso come forza in grado di ordinare il caos, per ricredersi poi negli ultimi anni della sua vita in cui ribalterà il suo credo, ma non per questo non si arrende dicendo di “essere più sereno perché senza speranza”.

Pasolini fece del suo dolore la sua forza e da indigente, da ultimo degli ultimi diviene un divo, il regista che ha portato il nome dell’Italia alto nel mondo, creando un “cinema di poesia”, fatto di zoomate, primi piani, carrellate contrapposto ad un cinema di prosa in cui tutto ciò è assente.

E’ Il cinema al quale si affida a partire dagli anni 60, in quanto “lingua scritta della realtà”, attraverso il quale si può ancora mostrare il sentimento del sacro che anima la vita, la sua poesia. 

Abbandona la letteratura ormai asservita alle avanguardie per approdare ad un cinema quasi “onirico”.

Un cinema fatto di storie scritte sui corpi.

Attraverso il cinema Pasolini scopre il linguaggio dei corpi-attori, la fisicità dei corpi sui quali la storia si scrive, attraverso mille diversità e differenze di classe, culturali, etnologiche.

A Pasolini antropologo non interessa la verosimiglianza dello storico o la continuità del montaggio filmico, egli riproduce corpi e luoghi e li lascia sospesi nel tempo, l’importante per lui, ciò che conta davvero è il presente del set.

Pasolini passa da un cinema realista: “Accattone” “Mamma Roma”, ad un cinema psicanalitico in cui si parla di Edipo per alludere alla sua condizione di diverso: “Edipo Re”, “Medea” e approda ad un cinema che volge lo sguardo in un passato lontano, puro, in cui ritrovare la felicità in cui “la gioia è gioia, il dolore dolore ” quasi una poesia della regressione :”Decameron” “I Racconti di Canterbury” “Il Fiore delle mille e una notte”- i tre film de  “La Trilogia della vita ”- orgoglioso di aver opposto alla repressione esercitata dalla classe al potere “la realtà fisica del popolo” .

Ma parallelamente a questo commiato dai “popoli perduti” si svolge la sua attività di agitatore di idee sempre più isolato, ma mai rassegnato al silenzio, profeta disarmato, pensiamo ai suoi “Scritti Corsari” pubblicate sulle prime pagine del “Corriere della sera”, il giornale della borghesia milanese. 

Sono gli anni dell’avvento della borghesia, che per lui non rappresenta una classe sociale ma una vera e propria “tragedia, gli anni del “nuovo fascismo” responsabile del genocidio che, a differenza del fascismo del ventennio, uccise l’anima degli italiani salvandone il corpo. 

 Da qui l’abiura dalla “Trilogia della vita” e l’approdo all’universo orrendo di “Salò”, film uscito postumo che sancisce la fine di ogni utopia e del potere salvifico della poesia in grado di creare e ricreare il mondo.

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