“Il cinema non serve a niente ma ti distrae,
da che cosa?
Dalla realtà che è scadente”.
La realtà che disegna Sorrentino è molto scadente, non è ricca di gioie né di sorrisi, è una realtà intrisa di cinismo, disillusioni, contraddizioni e anche cattiverie, ma restano sempre i sogni ed i sogni vanno coltivati perché saranno quelli a permetterci di andare avanti, sarà la magia a guidarci lungo la strada del successo.
E’ stata la mano di Dio è un film onirico, struggente e suggestivo, un omaggio a Fellini, ma soprattutto un meta film, un film che parla del film.
Lungo tutto il groviglio di avvenimenti di cene, di incontri, di riunioni familiari il regista ci mostra il set di un film, di un teatro e sarò proprio il regista Capuana a suggerire il segreto della vita a Fabietto, alter ego di Sorrentino, ragazzo timido e sensibile ancora incerto sul futuro.
”Pe’ fa ‘u cinema a da suffrì” grida il regista Antonio Capuana a Fabietto e Fabietto il dolore l’ha conosciuto da vicino, non solo la morte tragica dei genitori a causa di una fuga di monossido di carbonio che non gli consentirà di vederli per l’ultima volta, ma anche il dolore struggente del tradimento del padre, della presenza di un fratello sconosciuto e le fragilità e i demoni della sensuale e adorata zia Patrizia.
Sorprendente la descrizione degli interni, delle case, del mobilio, dei soprammobili, dei ninnoli tipici di una napoletanità smisurata, delle tavolate, dei sughi al pomodoro.
Così come sorprendente la caratterizzazione dei personaggi, il cinismo della Baronessa Focale, la cattiveria della signora Gentile, la disillusione dello zio Alfredo.
Lo stesso Sorrentino ha dichiarato che” la morte dei genitori apre una voragine profonda ed il film è la rappresentazione di come si può riempire questa voragine”.
Il regista fa i conti col suo passato pesante, col passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con la sua città dai mille volti: Napoli, il tutto con lacrime e riso, con gioia e dolore e tanta speranza in un futuro da disegnare.
Il Film si apre con una stupenda inquadratura sul mare del golfo di Napoli che rimanda ad un senso di libertà, di infinito, di grandezza, di immensità, mare che torna ossessivamente nel film, mare azzurro intenso come la maglia di Maradona.
La sua Napoli, misteriosa e fatata, sarà sconvolta dall’arrivo in città del mitico Maradona che unisce tutti gli abitanti partenopei facendoli sentire una grande famiglia.
Maradona è un sogno, lo stesso che insegue Fabio e che il regista Capuana gli indica di seguire
“Non disunirti” grida il regista a Fabio di fronte al suo dolore e Fabio per non disunirsi va a Roma, in quanto per continuare a sognare deve lasciare la sua città, i suoi dolori, il posto in cui è stato abbandonato e nel suo solitario viaggio in treno ascolta la canzone “Napul’è”, unica canzone del film.
Della magia del sogno è intriso tutto il film che non scade mai nel melodramma, nel patetico, ma tocca le vette più alte della poesia e trascina lo spettatore in un altrove quasi a fargli fare i conti con i suoi sentimenti più intimi.
Prima di partire e lasciare la sua Napoli come fanno “i strunz” Fabietto avrà la benedizione del monacello, lo stesso che aveva incontrato la visionaria e stupenda zia Patrizia, quasi a sottolineare il loro legame fatto di similitudini, di amore per il mistero, per la magia, legame che unisce entrambi i membri della famiglia e che permetterà a Fabio di diventare il Paolo Sorrentino regista di innumerevoli capolavori