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27 gennaio 2020
rosella lisoni
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le ansie e le paure di una coppia di genitori di oggi in “Figli” di Giuseppe Bonito

Film tragi/comico sceneggiato da Mattia Torre, il quale purtroppo, prematuramente scomparso, non e’ riuscito a dirigerlo, ma ha passato il testimone a Bonito che ha ultimato l’ opera.

Il film ha un intento sociale, più o meno riuscito, racconta le ansie, le paure e la fatica di Sara e Nicola alle prese con l’ arrivo del secondo figlio.

La notizia trascina i due protagonisti nel panico più totale.

“Il primo figlio e’ legato alla sensazione di euforia per aver dato la vita, del secondo rimane solo la fatica” dira’ un amico a Nicola, “per questo fingiti pazzo e salvati”.

Insicurezza, tristezza e disperazione angosciano Sara, mentre Nicola, impacciato e goffo, pensa di contribuire alla vita familiare mettendo la lavastoviglie.

“Due figli non sono 1 più 1 ma sono 11” dice Sara a Nicola poco prima di entrare in sala parto,  ma conclude chiedendo al marito “ma tu mi ami?

Sarà l’amore a dire l’ultima parola e a imporre di restare.

In fondo vince chi resta, anche se la fuga nel film e’ più volte sognata e reiterata.

Carina la trovata della finestra come via di fuga che lascia sempre aperta alla coppia la soluzione estrema: l’abbandono.

Ben descritti i timori della coppia nel crescere il secondo figlio senza far naufragare la loro storia d’amore e facendo i conti con il lavoro da gestire,.

I nonni in questo non aiutano, troppo impegnati o incapaci, lasciano i figli in balia di improbabili baby sitter che generano nella coppia sensi di colpa e  spingono i protagonisti a tornare a casa anche quando potrebbero trascorrere una serata in totale relax.

La crisi è generazionale, non c’e’ scampo. L’analisi sociale, ahimè, nel film non viene a lungo sviluppata e i luoghi comuni non mancano.

Il pianto del bambino diventa un brano di Beethoven, quasi a non turbare la sensibilità dello spettatore e a omaggiare la filmografia di Kubrick, non solo per la scelta della musica, ma soprattutto per scelta della maschera di carnevale di Nicola durante la festa di bambini, che rimanda al costume di Drugo nel film Arancia meccanica.

A volte, pero’ la drammaticità del racconto offusca l’ironia e il ritmo frenetico rimanda quasi a quello delle comiche.

Spiazza e ci coglie impreparati il finale che arriva repentino e inatteso, quasi a ricordarci che la soluzione  sta dentro di noi e la pace va cercata nel profondo.

 I figli sono il nostro specchio, ci riflettono sempre.

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