Primavera 2021
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rosella lisoni
PASOLINI E LA TORRE DI CHIA

Pier Paolo Pasolini adorava la Tuscia, luogo incontaminato e luogo di pace.
Nel 1964, durante le riprese del Vangelo Secondo Matteo, girovagando per la Tuscia, si innamorò della Torre di Chia e sei anni più tardi ne divenne proprietario.
Insieme a Dante Ferretti, sceneggiatore premio Oscar, la ristrutturò rendendola vivibile.
Fu lì che scrisse Petronio e Le Lettere Luterane e fu lì che trascorse il suo ultimo capo danno in compagnia di Bernardo Bertolucci e dei Fratelli Taviani
Luogo amato, “luogo del cuore” come egli stesso la definì, luogo dell’intimità, rifugio artistico, ma soprattutto luogo incontaminato in cui recuperare quel passato arcaico a lui così caro. Quel passato lontano, ricco di valori ora dimenticati, Paradiso perduto, nuovo Eden a cui anelare e che ben descrive nella sua produzione filmica “La trilogia della vita”, ultimo lavoro prima di approdare all’universo orrendo di Salò, opera filmica che conclude la sua carriera cinematografica.
Il Pasolini antiprogressista che rimpiange l’Italia agricola della “gente povera e vera che lotta per scacciare un padrone senza diventare quel padrone”, il Pasolini feroce moralista, critico verso la società omologata in cui il linguaggio del corpo, fisico, mimico è divenuto uguale per tutti, trovava la sua oasi di pace nell’amata Torre di Chia.
Fondamentale anche il legame con la gente del luogo, con gli abitanti di Chia, in cui si adoperò per la nascita di una squadra di calcio, il suo sport tanto amato, la sua grande passione insieme alla poesia e fondamentale il suo impegno rivolto allo sviluppo dell’istituzione della Libera Università della Tuscia, sostenendo fermamente il passaggio da Libera Università a Università Statale, impegnandosi personalmente e manifestando a fianco degli studenti viterbesi a Roma, sotto e dentro la regione Lazio
Chia, con la sua Torre rappresentano la poesia, intesa come potere salvifico, l’ultima ancora di salvezza, il suo rifugio, il suo “buen retiro”, l’altra vita,
Se rileggendo i suoi” Scritti Corsari” o riascoltando le sue interviste, Pasolini non smette di profetizzare, di descrivere un mondo cupo, crudele, in cui il potere della televisione crea falsi miti e rende infelici, è nella Torre di Chia che l’uomo e l’artista ritrovano la pace, in quel luogo di luce, in quell’ eremo, in quel “posto eccezionalmente bello” in cui sembra quasi di vederlo, seduto sulla sua poltrona, con la testa china sui libri, davanti alla vetrata con affaccio sulla verde vallata, o intento a disegnare.
Pasolini il poeta, lo scrittore, il giornalista, il letterato, il cineasta, il critico cinematografico, il drammaturgo, l’uomo di infinito sapere e di sterminata dolcezza, l’uomo libero, senza padroni, che parla per immagini, la voce contro che arriva dritta al cuore, che scuote le coscienze estrae la sua linfa vitale in questo luogo magico che “l’Ariosto avrebbe tanto amato”, a contatto con una natura incontaminata e immerso in un passato lontano in cui i sentimenti erano autentici e puri.
L’intellettuale di Casarsa, che incarna l’immagine del poeta vate chiuso nella sua Torre d’avorio ad analizzare il mondo, trova la sua Torre a Chia in provincia di Viterbo, dove si ritira per riscoprire le sue radici, perché in nessun luogo riusciva “a lavorare così’ bene come in quel posto di querce così perfettamente arcaico”, per immergersi in un mondo lontano dalla Roma del Palazzo del potere, in cui la ragione moriva, in cui come lui stesso ebbe a dire “non si sapeva neanche più cosa fosse reale”.
Ora questa Torre alta 42 metri e con la sua particolare forma pentagonale è in vendita, in quanto gli eredi non riescono a gestire gli alti costi di gestione.
Già inserita nella rete delle dimore storiche della Regione, il Comune di Soriano ha istituito tavoli di lavoro con la Regione per realizzare un Parco letterario Pasolini, attualmente è in essere un’interrogazione al Ministero dei Beni Culturali in cui la dimora è definita “luogo tra i più importanti della storia della letteratura mondiale”.
Noi tutti ci auguriamo che il complesso artistico diventi un luogo fruibile da tutti, un luogo di studio, di memoria, di incontro, di riflessione, per non dimenticare, per onorare la memoria di questo gigante, di uno dei più grandi intellettuali del 900.